Conversazione tra Jaime Poblete e il critico e curatore d'arte Lorenzo Madarao, realizzata in occasione della mostra EDEN ULMO tenutasi a Ceglie Messapica nel 2024 negli spazi di Dep Art Out; sede estiva della Dep Art Gallery in un suggestivo trullo, emblema della Puglia, situato tra Ceglie Messapica e Martina Franca.
Lorenzo Madaro Oggi si presenta questo tuo progetto a Dep Art Out a Ceglie Messapica, in campagna. Il progetto è dedicato a tre lavori recenti che hai concepito appositamente per questo spazio, anche un po’ immaginando la collocazione in un contesto rurale così radicale ed estremo.
Jaime Poblete Per me è stata una grandissima sorpresa. Come hai detto infatti sono dei lavori sviluppati appositamente per lo spazio del trullo. Ma riguardano anche una terra che per me era sconosciuta. Quindi l'incontro con questo luogo, con questa terra ricca di situazioni cromatiche, questa temperatura, questo vento, l'incidenza sulla vegetazione. Ho trovato una coerenza che non mi aspettavo. Ovviamente potevo intuire deteminati aspetti del territorio, ma ho trovato poi un collegamento intimo con questo luogo. Nonostante le mie origini siano così distanti, ho trovato una connessione con questa terra e questo per me è stata una grande sorpresa.
L.M. Nel tuo lavoro, infatti, è molto presente il fattore cromatico ella terra, specialemnete negli ultimi anni. La tua è una pittura non pittura. Una pittura che non nasce da una pratica diretta, ma in qualche maniera scaturisce da alcuni processi, da alcune tecniche e da alcuni approcci che nascono dalle tue esperienze precedenti. Sono legati al mondo del restauro, a questa tua capacità di elaborare i materiali, ma anche di farli dialogare con i pigmenti? A livello prettamente tecnico come nascono queste opere?
J.P. Come dici tu, il pigmento e gli ossidi, hanno un ruolo fondamentale in questo gioco di pittura non diretta; in cui c'è anche un senso di accidentalità che è legato alla prima fase di tintura per immersione. Io lavoro per passaggi di tintura che si susseguono, in cui anche il controllo cromatico è sempre diverso; non puoi misurare specificamente l'intensità o la saturazione a cui puoi arrivare. Dopo questo primo processo di tintura, espongo il tessuto all'ambiente, per cui anche il sole, l'aria, la pioggia hanno un'incidenza.
L.M. Quindi il tuo lavoro nasce nel paesaggio, e ritorna nel paesaggio grazie a questo progetto.
J.P. Esattamente. È come una sorta di accidentalità organica che si aggiunge al paesaggio, al tempo, allo spazio. Sono situazioni che mi permettono di dare questo input cromatico, ma poi sono il tempo e lo spazio a modificare il colore.
L.M. Intervenendo qui su invito di Antonio Addamiano, che da due anni porta avanti una programmazione molto serrata e di qualità tra maestri storicizzati, artisti della contemporaneità, in questo spazio così estremo, lontano dalla geografia dell'arte contemporanea (e questo è un merito, che va riconosciuto alla galleria Dep Art), ti stai confrontando anche con una geografia che è anche un paesaggio, per collegarla ulteriormente a quella dimensione della terra, dei materiali, dei colori, che è già tua. Siamo qui in questa grande pineta, che si chiama Pineta Ulmo, da cui abbiamo preso in prestito il titolo per la mostra.
Parlavamo prima di una pittura che non nasce attraverso un rapporto diretto di corpo a corpo tra l'artista e la dimensione della materia della pittura; ma che nasce appunto per immersione e da rapporti col paesaggio, col sole e con gli agenti atmosferici. Questa però è anche una pittura che diventa installazione, diventa spazio, diventa scultura. Cerca di indagare le radici proprie del linguaggio, attraverso questi rapporti di sospensioni, di bidimensionalità che si fanno scultura. È un problema che ti poni questo, o ti piace rimanere sempre in questa dimensione aperta, senza un orizzonte specifico?
J.P. Come dici tu, il mio lavoro non ha questo rapporto… come si può dire?
L.M. Con la parete.
J.P. Esatto, non è solo, non è essenzialmente frontale. E non ha questo rapporto con la struttura pittorica essenziale, formale, da pennellate.
L.M. Anzi, potenzialmente la riapertura potrebbe anche essere circumnavigata, no?
J.P. Esatto, però dall'altra parte per me è fondamentale che ci sia questo incontro, questo rapporto di fisicità.
L.M. Questa pelle proprio.
J.P. Esatto. E riesco ad arrivare a questa possibilità attraverso quello che dicevi tu, questa bidimensionalità che va verso lo spazio che diventa installazione. Per cui la piega è il mio gesto essenziale. Ho sostituito quello che per la pittura rappresentano la pennellata, la velatura e l'impasto con la piega.
L.M. E ha, giustamente, una valenza che può essere doppiamente simbolica, perché crea una tasca, uno spazio interiore, che nasconde, che vela... ma che accoglie anche.
J.P. Che accoglie, esatto. Che dall'altra parte è un riflesso anche del corpo. Perché la nostra pelle si sviluppa esternamente e dalla bocca va verso l'intero. Capito?
L.M. C'è qualcosa di legato al corpo, a qualcosa di anatomico nei tuoi lavori?
J.P. Assolutamente esatto, questa doppia possibilità
L.M. Quindi qualcosa anche di antropologico, per certi versi.
J.P. Sì. Infatti, certi lavori hanno un collegamento diretto anche con la mia condizione fisica, certe misure riguardano la mia struttura proprio. E questo penso che abbia un rimando al mio passato, legato al teatro e alla performance.
L.M. Infatti la tua pittura è molto performativa, nasce da un'azione.
J.P. Sì, esattamente, nasce da un movimento, da un'esecuzione. Da un'incidenza del corpo sul supporto.
L.M. In questo senso è quasi processuale. Poi sai, tu hai scelto l'Italia da oltre 10 anni come tua nuova patria, e la storia dell'arte del 900 in Italia è molto legata a questa riflessione sulla tela, sul supporto, sulle sue declinazioni e anche sulle sue metamorfosi. Pensiamo al lavoro di Castellani, di Bonalumi, pensiamo al lavoro di un grande maestro come Pino Pinelli. in qualche maniera la superficie della pittura può diventare altro. La storia dell'arte l'ha ribadito. Tu stai cercando di incanalarti, in questo filone, attraverso una tua ricerca personale, autonoma, autosufficiente. Però te lo poni il problema della storia?
J.P. Sì, evidentemente ci sono dentro.
L.M. A questi padri nobili che ti hanno preceduto, diciamo.
J.P. In un certo senso c'è sicuramente un avvicinamento al loro lavoro. Perché alla fine lavorare come artista, essere immerso nella pittura, significa introdursi in un discorso storico. E quindi sei parte di quel fluido, non puoi allontanarti; nel momento in cui stai dipingendo, stai invocando quelli che hanno vissuto prima di te, che hanno lavorato prima di te. Stai invocando quel senso storico della pittura, fin dall'inizio.
L.M. In effetti possiamo concludere dicendo proprio che la tua pittura è una pittura di ritualità, penso che sia una sintesi che inglobi tante cose.
J.P. È come dicevi tu, esiste una processualità che è legata a questa incidenza del corpo sul tessuto e da lì il parallelo con la pelle.
Conversation between Jaime Poblete and art critic and curator Lorenzo Madarao, on the occasion of the exhibition EDEN ULMO held in Ceglie Messapica in 2024 in the spaces of Dep Art Out; the summer venue of the Dep Art Gallery in a suggestive trullo, symbol of Apulia, located between Ceglie Messapica and Martina Franca.
Lorenzo Madaro Today you present your project at Dep Art Out in Ceglie Messapica, in the countryside. The project is dedicated to three recent works that you conceived specifically for this space, even a bit imagining their placement in such a radical and extremely rural context.
Jaime Poblete This was a big surprise for me. As you said, in fact, they are works developed specifically for the space of the trullo. But they are also about a land that was unknown to me. So the encounter with this place, with this land full of colour situations, this temperature, this wind, the impact on the vegetation. I found a consistency that I did not expect. Obviously, I could sense certain aspects of the land, but I then found an intimate connection with this place. Even though my origins are so distant, I found a connection with this land and that was a great surprise to me.
L.M. The colour factor of the land is very present in your work, especially in recent years. Yours is a painting that is not painting. A painting that is not born from direct practice, but somehow springs from certain processes, certain techniques and certain approaches that arise from your previous experiences. Are they linked to the world of restoration, to this ability of yours to process materials, but also to make them interact with pigments? On a purely technical level, how do these works come about?
J.P. As you say, pigment and oxides play a fundamental role in this game of non-direct painting; in which there is also a sense of accidentality that is linked to the first stage of immersion dyeing. I work by successive dyeing steps, in which the colour control is also always different; you cannot specifically measure the intensity or saturation you can reach. After this first dyeing process, I expose the fabric to the environment, so the sun, the air, the rain also has an impact.
L.M. So your work is born in the landscape and returns to the landscape thanks to this project.
J.P. Exactly. It is like a kind of organic accidentality that is added to the landscape, to time, to space. They are situations that allow me to give this chromatic input, but then it is time and space that modify the colour.
L.M. By intervening here at the invitation of Antonio Addamiano, who for the past two years has been carrying out a very tight and quality program between historic masters and contemporary artists, in this space that is so extreme, far from the geography of contemporary art (and this is a merit, which must be acknowledged to the Dep Art gallery), you are also dealing with a geography that is also a landscape, to further connect it to that dimension of the earth, of materials, of colours, which is already yours. We are here in this large pine forest, called Pineta Ulmo, from which we borrowed the title for the exhibition.
We were talking earlier about a painting that is not born through a direct hand-to-hand relationship between the artist and the dimension of the material of the painting; but which is born through immersion and from relationships with the landscape, the sun and the weather. However, this is also a painting that becomes an installation, becomes space, becomes sculpture. It tries to investigate the very roots of language, through these relationships of suspension, of two-dimensionality that become sculpture. Is this a problem you pose yourself, or do you always like to remain in this open dimension, without a specific horizon?
J.P. As you say, my work does not have this relationship… how can you say?
L.M. With the wall.
J.P. Exactly, it is not alone, it is not essentially frontal. And it doesn't have this relationship with the essential, formal, brushstroke-like pictorial structure.
L.M. In fact, potentially the reopening could even be circumnavigated, right?
J.P. Exactly, but on the other side for me it is essential that there is this encounter, this relationship of physicality.
L.M. This very skin.
J.P. Exactly. And I can get to that possibility through what you were saying, this two-dimensionality that goes to the space that becomes installation. So, the fold is my essential gesture. I have replaced what brushstrokes, glazing and impasto represent for painting with the fold.
L.M. And it has, rightly, a value that can be doubly symbolic, because it creates a pocket, an inner space, that hides, that veils but that also welcomes.
J.P. That it welcomes, exactly. Which on the other hand is also a reflection of the body. Because our skin develops externally and from the mouth it goes to the whole. You know?
L.M. Is there something related to the body, to something anatomical in your works?
J.P. Exactly, this double possibility.
L.M. So something also anthropological in some ways.
J.P. Yes. In fact, certain works also have a direct connection with my physical condition, certain measurements are about my own structure. And this I think has a reference to my past, related to theater and performance.
L.M. In fact, your painting is very performative, it comes from an action.
J.P. Yes, exactly, it comes from a movement, from an execution. From an incidence of the body on the support.
L.M. In that sense it is almost processual. Then you know, you have chosen Italy for more than 10 years as your new home, and the history of 20th century art in Italy is very much linked to this reflection on the canvas, on the support, on its declinations and on its metamorphoses. We think of the work of Castellani, of Bonalumi, we think of the work of a great master like Pino Pinelli. somehow the surface of painting can become something else. The history of art has reaffirmed that. You are trying to channel yourself, in this vein, through your own personal, autonomous, self-sufficient research. Do you pose the problem of history, though?
J.P. Yes, obviously I'm in it.
L.M. To these noble fathers who came before you, let's say.
J.P. In a way there is an approach to their work. Because at the end of the day, working as an artist, being immersed in painting, means introducing yourself into a historical discourse. And so, you are part of that fluid, you can't get away from it; the moment you're painting, you're invoking those who lived before you, who worked before you. You are invoking that historical sense of painting from the very beginning.
L.M. We can conclude by saying just that your painting is a painting of ritual, I think it's a synthesis that encompasses so many things.
J.P. It is as you were saying, there is a processualism that is related to this incidence of the body on the fabric and from there the parallel with the skin.